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La conseguenza tangibile di queste vaste trasformazioni economiche e funzionali è il degrado crescente nell’immagine complessiva della città. Ma vi sono anche gli effetti di un consumo materiale della città. La grande massa dei turisti sporca infatti indecentemente Venezia: basta recarsi a Piazza S. Marco al termine di un week-end estivo per rendersi conto della quantità di rifiuti lasciati dai visitatori, solo in parte raccolti nelle miriadi di bidoni della spazzatura che oramai punteggiano i luoghi più celebrati della città; inevitabile incontrarli ormai in prossimità di scale, monumenti, ponti, basamenti, rive di canali, dove ci si possa sedere per una sosta o per consumare qualche rapido pasto. Per arrivare, come nelle punte del massimo scatenamento collettivo, a Carnevale per esempio, ad un danneggiamento anche fisico dei monumenti.
Ma il consumo della città viene anche dall’acqua, per il deterioramento provocato dall’intenso moto ondoso dei motoscafi indotti a muoversi più rapidamente possibile per trasportare il maggior numero di turisti. Un deterioramento che intacca le radici degli edifici nei canali interni della città, e dissolve poco a poco i banchinamenti delle fondamenta maggiori: come alle Zattere, e sul Canale della Giudecca che è il tramite più frequentato per i rapidi spostamenti dei motoscafi dai terminal a S. Marco.
Per non parlare degli effetti devastanti provocati dal passaggio delle navi da crociera lungo il bacino di S. Marco fino alla Stazione Marittima. Un fenomeno di questi ultimi anni, legato alla crescita del mercato delle crociere, che ha fatto di Venezia uno degli scali più richiesti: a condizione che le navi transitino davanti a S. Marco, un’offerta ben evidenziata nei pacchetti delle agenzie turistiche. Navi dalle dimensioni mostruose, che sovrastano con la loro mole il profilo della città insulare, ma che soprattutto provocano al loro passaggio lo spostamento di enormi masse d’acqua, generando correnti intensissime che si propagano fino ai canali più interni della città.
Il quadro sociale ne è complessivamente condizionato: il turismo trasforma infatti i comportamenti introducendo dall’esterno nuovi modelli di consumo, inducendo il cambiamento di mestieri , interferendo sui modi di vita abituali, occupando gli spazi della cultura. Molte delle manifestazioni culturali, mostre, concerti, convegni, hanno avuto certamente l’effetto desiderato di prolungare la stagione turistica fino ai mesi invernali, ma non certo ridistribuendo le punte estive nell’arco dell’anno, quanto piuttosto richiamando nei periodi meno favoriti altri turisti, o inducendo gli stessi ad un ritorno nella città.
Vi sono poi nuovi mestieri senza identità culturale, che si generano in presenza della domanda turistica: finti gondolieri e approssimativi musicanti per le serenate notturne (ma che oramai si tengono in tutte le ore del giorno), albergatori e pizzaioli improvvisati, intromettitori aggressivi, venditori esosi di cibi e bevande nei luoghi della massima frequentazione, abili spacciatori di paccottiglia camuffata per artigianato locale.
Ma vi è un fatto ancora più grave: questo nuovo consumo della città interferisce negativamente con uno dei problemi più acuti di Venezia, quello della casa. La città si è fortemente spopolata in questi ultimi decenni, perdendo complessivamente più di centomila abitanti.
Ciò è avvenuto per varie ragioni, dipendenti anche dal fatto che il turismo ha sottratto spazi ed edifici all’uso abitativo normale, con il risultato che le case disponibili sono diventate sempre più rare: trasformate in locande, pensioni, alberghi, bed and breakfast, dapprima nei luoghi di maggior attrazione turistica o in prossimità della stazione ferroviaria e di Piazzale Roma, ma poi, poco alla volta, in tutta la città.
È un fenomeno che sta avendo oggi una fortissima virulenza. Si manifesta attraverso lo spezzettamento interno di tanti edifici in miriadi di miniappartamenti offerti a un mercato vitalissimo di stranieri e foresti interessati ad una seconda casa a Venezia; o con il trasformarsi di case e palazzi in residenze stagionali di università straniere, o in abitazioni prestigiose di facoltosi “innamorati di Venezia”, o in sedi di rappresentanza di società e sponsor attratti dal sicuro successo commerciale dell’immagine di Venezia.
Occorre inoltre considerare che molti edifici ed abitazioni rimangono ancora chiusi ed inutilizzati, in attesa di essere collocati in questo nuovo genere di mercato immobiliare, di gran lunga più remunerativo di quello tradizionale; e che quelli disponibili – ma solo per “non residenti” – raggiungono per effetto dello stesso meccanismo di mercato costi assolutamente inaccessibili. Si comprende assai bene allora come la possibilità di accedere ad una abitazione, per i residenti o per coloro che vorrebbero diventarlo, sia diventata impossibile.
Di fronte a fenomeni così invasivi, si cercano di tanto in tanto misure di protezione; con il limite tuttavia di considerare il turismo come un fenomeno incontrollabile, in perenne e naturale espansione, come l’unica vera risorsa economica per la città; arrestabile, se mai occorrerà, solo nelle sue manifestazioni finali.
Ma è davvero così? Quell’altra Venezia cui si è accennato è la conseguenza stessa dell’idea di Venezia che si è voluta coltivare ed esportare. E che ha visto nei decenni passati la contesa fra le istituzioni pubbliche nell’accaparrarsi tutti gli immensi spazi dell’effimero, impegnate in un inedito dispiego di risorse, denaro ed energie fra carnevali e teatri galleggianti, mostre e spettacoli tesi ad attirare il maggior numero possibile di visitatori e a prolungare nel tempo il periodo del loro soggiorno veneziano, non esitando barattare con sponsor astuti ed “illuminati” il marchio Venezia.
E sprecando occasioni preziose: come nelle recenti nuove urbanizzazioni della Giudecca, legate in più dei casi al riuso di complessi industriali abbandonati (dalla Junghans al Mulino Stucky), dove il cospicuo incremento abitativo, non assecondato da una politica a favore della residenzialità, e governato da un troppo labile convenzionamento con i privati, ne ha favorito l’acquisizione da parte di stranieri non residenti, o di intermediari che ne fanno case da affitto per turisti.
Il tema della residenza non è stato evocato per caso. Se Venezia deve difendersi dal troppo turismo, non può pensare di farlo con interventi di settore, e agendo solo sulla coda del fenomeno: una politica orientata a favorire la residenzialità della città insulare, con un governo più efficace delle trasformazioni d’uso del patrimonio edilizio esistente, con un uso oculato delle aree ancor libere, con l’utilizzazione più efficace del patrimonio abitativo pubblico, può svolgere un ruolo assai importante, garantendo vitalità a servizi e settori economici che altrimenti sono destinati a sparire.
Venezia è in attesa di un’inversione di tendenza, che dimostri che quella svendita della città cui si è passivamente assistito in questi ultimi decenni è terminata. E che, come tutte le città del mondo, è fatta soprattutto per chi ci vive: che non negherà di certo l’ospitalità a chi vuol visitarla.
Franco Mancuso
1800 - 2000 - fino ad oggi - rev. 0.1.36