Si può amare Venezia anche senza esserci mai stati; per il fascino dell’irreale che questa città porta con sé, per i sogni che alimenta, per le
diversità che presuppone. E la si può amare ancora di più oggi, che dell’irreale, dei sogni, delle diversità, si sente un bisogno crescente, e a Venezia si pensa per una incontenibile voglia di incontrarsi fuori dalle regole del gioco, e dei divieti dei superiori anche come è capitato a me nelle mie esperienze di Direttore della
Biennale Teatro anche attraverso quell’avvenimento singolare che è stato, negli anni 1980 e 1981 e successivamente nel 2007, il
Carnevale che nel nome del teatro ho contribuito a far nascere. Di questo Carnevale, festa per antonomasia , ho cercato di cogliere appunto quelle voglie e quei bisogni che sono collettivi e privati insieme, ma anche l’ incontro umano e lo spazio scenico, all’aperto e nei teatri. Non c’è una immagine tramandata nel mondo e nei libri che non segnali la presenza consapevole dell’uomo, nel divertimento o nella riflessione o nel sogno o nella fatica del lavoro teatrale. E non c’è una immagine che non sottolinei il rapporto con lo spazio scenico. Del resto l’uomo e lo spazio trovano a Venezia una delle coniugazioni più originali e profonde. Anzitutto nel rapporto con l’acqua e con i suoi intrecciati percorsi attraverso la città; ma anche nel raffrontarsi costante dell’uomo con le complessità mutevoli delle linee architettoniche, dei ritmi, dei suoni, dei colori, al punto che le stesse parole, lo stesso gesto ne risultano condizionati. Venezia lo sa, nei secoli, e se ne compiace, e grazie alla sua vocazione scenica costruisce la sua doppia storia, fatta di politica (dal cerimoniale, ai funerali agli spettacoli ufficiali), ma fortunatamente anche di ribellione e liberazione dalle condizioni ambientali che da sempre ne minacciano l’azzeramento. Anche la maschera esprime questa ambiguità di vita veneziana; talvolta la nasconde, la giustifica, altre volte invece ne rivela la forza quasi metafisica del non espresso, potente – debole, donna – uomo, vecchio – giovane. Forza che trascende il reale, senza però prescindere mai, senza annullarsi nell’oblio, avendo in sé la possibilità di costruire nuove condizioni di vita, nuovi mondi, di dare all’effimero sorprendenti forze d’urto anche sociali. Venezia è una parola magica. Dobbiamo esserne consapevoli e orgogliosi. Venezia è l’isola kantiana che non c’è, è lo spazio dell’immaginario e dell’utopia che però deve essere vissuto dalle Istituzioni (e fra queste naturalmente la Biennale) e da chi la vive e la frequenta non tanto come città d’arte ma come città culturale ,come si è recentemente osservato, aperta a laboratori permanenti e quindi a nuove vivificanti esperienze di artisti e studiosi che ne esaltino la vocazione internazionale . Riflettere su Venezia oggi per le Istituzioni e per i singoli individui porta con sé una mescolanza all’apparenza caotica di segni diversi, dal ricordo storico del
Settecento e dei suoi “splendori”, alle urgenze d'oggi, e ai desideri di conquista di un rifugio, o una isola deserta, o appunto Venezia, da dove forse riprendere un cammino interrotto. Certo era decadenza quella del 700 veneziano. Ma rispetto a che? Era sicuramente ritardo rispetto alla evocazione di alcune realtà; ma anche gran fuga in avanti in un futuro che, proprio per il suo sentirsi minacciato da prossima inesistenza storica, insistentemente vien voglia di chiamare utopico. E allora l’incontro con Venezia e con la parola “festa” porta con sé un interrogativo estremamente serio: qual è il nostro futuro, come parleremo, come faremo l’amore, come vivremo? Non si meraviglino i sociologi, se tanta gente ha scelto un periodo apparentemente di evasione per una domanda tanto seria; si interroghino piuttosto sugli altri periodi dell’anno così sinistramente “carnevaleschi”; colgano il pericolo del rapido corrompersi e deteriorarsi per le speculazioni di vario tipo già alle porte, colgano il segnale di una volontà vitalissima di ricercare una eredità e di andare avanti nella scoperta del nostro domani. Che questo possa avvenire a Venezia e soltanto a Venezia non è affatto strano. E’ solo la scelta di un tempo e di uno spazio che altrove difficilmente si trovano; e che Venezia miracolosamente esprime. Per ora.
Maurizio Scaparro