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Il XVI secolo fu caratterizzato anche dai momenti di tensione che sorsero tra Venezia e lo Stato Pontificio, forse inevitabili conseguenze della Riforma e della Controriforma religiose. Il Concilio di Trento (1545-1563) aveva stabilito alcune norme alle quali dovevano attenersi i paesi cattolici. Venezia tuttavia, pur avendo accettato la normativa, non era d’accordo su alcuni punti specifici: ad esempio che il Patriarca di Venezia, da sempre nominato dal Senato veneziano, dovesse sostenere un esame di teologia a Roma, oppure che i “marrani”, gli ebrei di origine iberica, fossero costretti a cambiare religione. Altri punti di disaccordo erano costituiti dalle regole dello Stato della Chiesa che indicavano i tanti libri da mettere all’indice, in forte contrasto con la fiorente industria editoriale veneziana che pubblicava molti di quei libri, o la possibilità di far passare alcuni beni dalla sfera laica a quella ecclesiastica senza l’approvazione del Senato.
Ma la controversia più importante e la più politica, nacque dall’ingiunzione di Papa Paolo V di consegnare al foro ecclesiastico, pena l’interdetto, due sacerdoti accusati di reati comuni dal Consiglio dei Dieci. Il governo veneziano resistette dichiarando nullo il documento del papa in quanto contrario alle sacre scritture. La controversia, che divenne di carattere internazionale con gli stati europei schierati pro o contro Venezia, si concluse con un compromesso, affidando i due sacerdoti prima allo stato francese e poi al Papa Paolo V.
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